La responsabilità penale

La responsabilità penale

L’articolo 64 c.p.c. equipara espressamente il consulente tecnico ai periti ai fini delle norme penali che riguardano questi ultimi.
Il comma 2 dell’art. 64 c.p.c stabilisce che:

“in ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda sino a € 10.329“.

La norma prosegue affermando che come effetto della condanna si applica la sospensione dall’esercizio della professione per un periodo che va da 15 giorni a 2 anni.

Il consulente tecnico d’ufficio è a tutti gli effetti un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (artt. 357, 358 c.p.).
Sono PUBBLICI UFFICIALI coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria amministrativa.
Il CTU, concorrendo con il giudice a definire il caso e a dare contenuti alla sentenza, esercita sia pure indirettamente una funzione giudiziaria.
Il CTU è incaricato di pubblico servizio in quanto svolge un’attività disciplinata nelle forme della pubblica funzione, come si evince dalle norme che regolano l’assunzione dell’incarico, l’iscrizione nello speciale albo, la disciplina della sua attività sulla base di norme del pubblico servizio: obbligo di assumere l’incarico, la ricusabilità, il giudizio sulla ricusazione, lo speciale obbligo di diligenza connessa con lo svolgimento della funzione giudiziaria il cui esito è in grado di condizionare e orientare.

Il termine assegnato al consulente tecnico dal giudice per il deposito della relazione ha carattere ordinatorio e non perentorio. Pertanto, la scadenza di esso, senza che il consulente abbia provveduto al deposito, non determina la nullità della consulenza o non comporta l’automatica decadenza dall’incarico.
Rimane comunque la possibilità per il giudice di procedere alla sostituzione del perito (ex art. 196 c.p.c.) o alla riduzione del compenso (ex art. 52 DPR n. 115/2002).
Quindi il consulente conserva la qualifica di pubblico ufficiale sino al deposito della relazione oppure sino alla sua sostituzione.
L’essere qualificato come pubblico ufficiale comporta l’applicazione dell’art. 319 ter c.p. che punisce con la reclusione da 4 a 10 anni se i fatti di cui all’art 318 c.p. (corruzione per l’esercizio della funzione) e 319 c.p. (corruzione propria) sono compiuti per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo.
La corruzione presuppone sempre un accordo tra corrotto e corruttore.
Nel caso in esame è necessario quindi che l’accordo sia realizzato nella consapevolezza che l’atto o la funzione compravenduta dovranno favorire o danneggiare una delle parti processuali.

La corruzione per l’esercizio della funzione

Si riferisce al pubblico ufficiale (CTU) che per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
Il reato si realizza pertanto quando il CTU nominato nell’ambito di una controversia accetta denaro o altra utilità per sé o per un terzo o si limita ad accettarne la promessa non seguita da dazione o dall’adempimento successivo alla promessa e indipendentemente da quest’ultima (ma il pagamento dopo la promessa ha una sua rilevanza).

Il reato quindi si consuma anche per il solo fatto dell’accordo.
Il CTU deve essere consapevole che dazione e promessa mirano a favorire o danneggiare una parte del processo.
Il successivo atto è del tutto irrilevante: se anche l’atto giudiziario, nella specie la consulenza, fosse corretto e conforme alla legge e anche a scienza e coscienza del consulente, l’avere accettato la retribuzione, sapendo che il corruttore mira ad avvantaggiare la parte nel processo, comporta il reato.
Il reato sussiste persino quando la dazione avviene in prevenzione.

Ad esempio: l’avvocato che eroga compensi ad una serie di professionisti che lavorano per il tribunale con l’intesa che il professionista dovrà favorirli al momento opportuno.

La corruzione propria (art. 319 c.p.)

Riguarda il pubblico ufficiale-CTU che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, o per compiere o per avere compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa.
Si può parlare a questo proposito di corruzione antecedente e di corruzione susseguente.
La specificità della previsione consiste nel compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio: nel caso della CTU o perizia, la redazione di una consulenza o perizia consapevolmente false e la formulazione di valutazioni contrarie alla realtà ovvero alle più accreditate opinioni tecnico-scientifiche per favorire o danneggiare una parte del processo.
Anche in questo caso si considerano l’accordo e il concretizzarsi di una effettiva dazione di denaro (o altra utilità) o la semplice promessa.
I beneficiari della tangente possono essere sia il corrotto personalmente che un terzo.

 

La qualificazione giuridica di pubblico ufficiale spettante al CTU fa sì che lo stesso possa essere chiamato a rispondere dei reati contro la pubblica amministrazione, salvo per quelle condotte che configurano fattispecie di reato contro l’attività giudiziaria (nei quali il CTU non è solo autore del reato ma anche soggetto passivo).

Reati contro l’attività giudiziaria

Viene anzitutto in rilievo il REATO DI INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA (art. 377 c.p.):
chiunque offre o promette denaro o altra utilità … anche non patrimonialmente apprezzabile alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete per indurlo a commettere i reati previsti dagli articoli 371 bis (false informazioni al pubblico ministero), 371 ter. (false dichiarazioni al difensore), 372 (falsa testimonianza) e 373 (falsa perizia o interpretazione).

La condotta deve mirare a far rendere al CTU una dichiarazione difforme da quanto a sua conoscenza, rischiando di condizionare, attraverso l’offerta o la promessa finalizzata alla falsità giudiziale, l’esito del giudizio.
La fattispecie presuppone che l’offerta o la promessa non sia accettata.
Il CTU in questo caso è il destinatario dell’offerta e quindi è il soggetto passivo del reato ma in quanto pubblico ufficiale è obbligato alla denuncia di reato ai sensi dell’articolo 361 c.p., fattispecie che si concretizza tutte le volte in cui il pubblico ufficiale omette o ritarda di denunciare un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.
Trattandosi di reato di pericolo, è irrilevante che l’offerta o la promessa vengano accettate. Se accettate, si ritornerebbe al reato di corruzione.
È necessario che l’offerta sia susseguente al conferimento dell’incarico ma è sufficiente che il CTU sia già stato designato per l’udienza in cui l’incarico verrà conferito.

 

Fattispecie tipica che sanziona il CTU infedele è anche il REATO DI FALSA PERIZIA (art. 373 c.p.):
“Il perito… che, nominato dall’autorità giudiziaria, da parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene stabilite nell’articolo precedente. La condanna importa, oltre l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione dalla professione o dall’arte”.

Il bene giuridico protetto è l’interesse della collettività al corretto funzionamento dell’attività giudiziaria; deve però considerarsi quantomeno danneggiato dal reato anche colui la cui sfera giuridica sia lesa in via diretta ed immediata, potendo la falsa perizia o consulenza arrecare offesa al patrimonio oltre che alla libertà e all’onore del privato.

Il reato di falsa perizia:
– è ipotizzabile nei confronti del CTU nominato nel corso di un procedimento di istruzione preventiva quale l’accertamento tecnico preventivo;
– non è ipotizzabile con riferimento all’attività dei consulenti di cui possono avvalersi tanto il difensore quanto il pubblico ministero.

La falsità può consistente nel:
– dare pareri mendaci. Il falso è dato dalla divergenza tra il convincimento reale e quello manifestato dal perito nell’elaborato prodotto in giudizio.
– affermare fatti non conformi al vero.
È necessario distinguere rigorosamente l’errore o anche la cattiva qualità della prestazione professionale con la dolosa alterazione del vero.
La sola insostenibilità scientifica della consulenza non implica il reato.

 

Il CTU è soggetto passivo leso dal REATO DI FRODE PROCESSUALE (art. 374 c.p.) ma è responsabile della mancata denuncia dolosa del fatto perpetrato nei suoi confronti e volto ancora una volta a ledere il corretto funzionamento della giustizia.
Il reato si esplica nel caso in cui l’autore abbia tratto in inganno e indotto in errore il consulente inducendolo a redigere una falsa consulenza:
“chiunque nel corso di un procedimento civile… al fine di trarre in inganno il perito nella esecuzione di una perizia, muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito…”.
La frode processuale è reato di pericolo concreto e sussiste anche quando il destinatario della frode si accorge dell’inganno.

Ad esempio: la giurisprudenza ha ritenuto corretta la configurazione del reato in un caso in cui era stato mutato artificiosamente lo stato dei luoghi di uno stabile in costruzione prima dell’espletamento dell’accertamento tecnico disposto dal presidente del tribunale (ex art. 696 c.p.c).

 

Altro reato configurabile è il REATO DI RIFIUTO DI UFFICI LEGALMENTE DOVUTI (art. 366 c.p.).
Il rilievo pubblico delle funzioni svolte dal CTU nel processo trova riscontro nell’articolo 366 c.p.: “chiunque nominato dall’autorità giudiziaria perito… ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito…”.
“Le stesse pene si applicano a chi, chiamato dinanzi all’autorità giudiziaria per adempiere ad alcuna delle predette funzioni, rifiuta di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime”.
E’ sanzionato quindi ogni comportamento di fraudolente elusione dell’obbligo di prestare l’ufficio conferito o di rifiuto del compimento degli atti preparatori all’assunzione dell’ufficio.

 

Il CTU che dopo aver accettato l’incarico e percepito una determinata somma di denaro ometta di depositare la relazione di consulenza nel termine concesso, o in epoca successiva, senza giustificare il mancato adempimento dell’incarico, integra il REATO DI OMISSIONE D’ATTI D’UFFICIO.
L’omesso deposito della relazione da parte del consulente tecnico d’ufficio configura il reato di omissione d’atti d’ufficio e non quello di rifiuto di uffici legalmente dovuti.

 

Il consulente tecnico d’ufficio è responsabile per il contenuto delle affermazioni inserite nella relazione scritta o comunque per le dichiarazioni effettuate in relazione all’incarico commessogli quando tali affermazioni abbiano carattere diffamatorio.
L’art. 598 c.p. prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’autorità giudiziaria quando le offese concernono l’oggetto della causa, non si applica al consulente tecnico di parte nel giudizio civile.
Il consulente non è equiparabile né alle parti né ai loro patrocinatori, ai quali espressamente ed esclusivamente si riferisce la citata disposizione.
Lo stesso deve dirsi per il consulente tecnico d’ufficio il quale nella relazione deve comunque adoperare un linguaggio che non suoni diffamatorio per le parti, i loro difensori e consulenti.