Il giuramento

Il giuramento

Il CTU ha l’obbligo di essere presente all’udienza fissata per il giuramento. Eventuali impedimenti, se noti o prevedibili, debbono essere comunicati con largo anticipo, in modo da potere consentire il differimento dell’udienza. Se imprevisti, debbono comunque essere portati a conoscenza del giudice e debitamente documentati, al fine di evitare l’avvio del procedimento disciplinare (oltre che di evitare di minare la fiducia del giudice nei confronti del CTU).

La giurisprudenza (ex art. 193 c.p.c.) ritiene:
– da un lato che lo stesso possa essere eseguito anche dopo l’espletamento dell’incarico, contestualmente al deposito della relazione,
– dall’altro lato che, anche in caso di mancanza, non si possa parlare di nullità e che il giudice possa comunque valutare le risultanze peritali almeno come argomenti di prova atipica.

Nelle cause collegiali il giuramento può essere fatto davanti al solo Giudice Istruttore.

In ogni caso, il CTU non è tenuto a rinnovare il giuramento laddove sia chiamato a rendere chiarimenti od eseguire nuovi accertamenti.
La mancata apposizione della firma nel verbale attestante il giuramento, trattasi di mera irregolarità, che non comporta alcun profilo di invalidità.

Il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse (art. 195 comma 3 c.p.c.).

L’inizio delle operazioni peritali, se fissato in udienza, si presume noto a tutte le parti (presenti o assenti che fossero all’udienza), e dunque il CTU non deve in questo caso inviare alcun avviso.

Se nell’udienza di conferimento dell’incarico l’inizio delle operazioni non è stabilito, ed il giudice ha lasciato al CTU la facoltà di scegliere la data, ai sensi degli artt. 194 comma 2 c.p.c. e 90 comma 1 disp. att. c.p.c., il CTU deve dare comunicazione alle parti costituite di giorno, ora e luogo, dell’inizio delle operazioni peritali, pur se non anche del prosieguo delle stesse, laddove esso sia volta a volta fissato nel verbale delle operazioni. La data di inizio, al fine di evitare problematiche e contestazioni, sarebbe opportuno fosse resa dal consulente a verbale d’udienza al momento del giuramento.

Nel fissare la data di inizio delle operazioni peritali è opportuno considerare la durata complessiva delle stesse (solitamente 90 gg. per l’invio della “bozza”, 30 gg. per le osservazioni delle parti ed ulteriori 30 gg. per il deposito definitivo dell’elaborato peritale, comprensivo della risposta alle osservazioni delle parti), sicché si deve verificare la data di definitivo deposito anche al fine di rappresentarla al giudice per il rinvio della successiva udienza considerando, anche, un eventuale lasso di tempo utile per le proroghe eventualmente necessarie.

Nel caso in cui il consulente rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda, vi è l’obbligo di avvertire nuovamente le parti a pena di nullità della perizia.
L’attività del consulente mirata ad acquisire elementi emergenti da pubblici registri e quella di semplice valutazione di dati in precedenza acquisiti, non integrano vere e proprie indagini tecniche, e pertanto possono essere compiuti senza preventivo avviso alle parti.
La mancanza della comunicazione di inizio operazioni peritali pur in assenza di apposita e specifica previsione, è concordemente sanzionata con la nullità, in base al generale principio di cui all’art. 156 comma 2 c.p.c., per violazione del principio del contraddittorio, con conseguente inutilizzabilità della perizia e sua mancanza di valore probatorio anche indiziario.

Tale sanzione di nullità è tuttavia temperata da due correttivi:
1 – in ragione della lettera dell’art. 156 commi 2 e 3, la nullità non può essere pronunciata se l’atto ha raggiunto il suo scopo, e quindi se si dimostra che la parte non ha subito un effettivo pregiudizio al suo diritto di difesa, avendo comunque avuto notizia dell’inizio delle attività o comunque avendovi partecipato.
2 – trattasi di nullità relativa, come peraltro tutte le nullità riguardanti l’espletamento della CTU, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., ne resta precluso il rilievo e l’invalidità rimane sanata, se l’eccezione non viene sollevata nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, ovvero, nel caso del contumace, nel suo atto di costituzione.

La comunicazione non deve poi essere effettuata al contumace, atteso che essa non rientra tra gli atti che tassativamente l’art. 292 c.p.c. prevede debbano essergli notificati (Cass. n. 16143/2012).
Ragionevole eccezione al principio si ha quando la collaborazione del contumace è indispensabile per l’espletamento del mandato, come nel caso di incarico di ispezione sulla sua persona o su beni nella sua disponibilità.

La ricusazione, rinnovazione, sostituzione

Il termine previsto dall’art. 192 c.p.c. per la ricusazione del CTU ad opera delle parti, è inteso dalla giurisprudenza come perentorio, nonostante la mancata specificazione da parte del Legislatore.
Consegue che l’eventuale situazione di incompatibilità (cfr. art. 51 c.p.c.) che non venga fatta valere entro i prescritti 3 giorni prima della comparizione, resta definitivamente sanata e non più successivamente deducibile, salva solamente la possibilità di disporre rinnovazione dell’istruttoria o sostituzione del CTU ai sensi dell’art. 196 c.p.c. (Cass. Lav. n. 3105/2004, Cass. n. 3364/2001).
Tuttavia, a seguito dell’entrata in vigore del vigente articolo 153 c.p.c. e anticipato dalla L. n. 69/2009, tenuto conto che la rimessione in termini diviene istituto di carattere generale e non più confinato alla materia probatoria come nel precedente art. 184 bis c.p.c., potrebbe opinarsi che la scoperta di una causa di ricusazione in un momento successivo al termine codicistico previsto per poterla eccepire, renderebbe possibile la rimessione in termini della parte per formulare la domanda di ricusazione.

Possono essere motivi di astensione e di ricusazione:
– aver prestato opera professionale per una delle parti;
– aver prestato opera in altri gradi processuali;
– essere legato da rapporti di parentela o amicizia con una delle particolare;
– essere stato nominato in precedenza CTP da una delle parti;
– lavorare per una delle parti.

Ai sensi dell’art. 196 c.p.c., è attribuita al giudice “la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico”.
La rinnovazione implica che le indagini siano state ultimate e che vi sia una valutazione del giudice di insufficienza dei risultati raggiunti dalla consulenza espletata, o per vizi di forma che rendono la consulenza stessa inutilizzabile, o per carenze negli accertamenti.
Trattasi di valutazione discrezionale, insindacabile in Cassazione.
La sostituzione del consulente presuppone invece che le indagini siano ancora in itinere, e può essere disposta in caso di comportamento inottemperante del consulente. Ad esempio inottemperanza al rispetto dei termini ovvero all’obbligo di tempestivamente comunicare un motivo di ricusazione, ovvero in caso di grave negligenza o grave imperizia dell’ausiliare.
Il provvedimento di sostituzione, pur rientrando tra i poteri discrezionali del giudice, dev’essere adeguatamente motivato e preferibilmente preceduto dall’audizione dell’interessato.